Di giorno questa città pullula di ombre, di notte le ombre liberano
il buio.
Lampioni malefici accecano le tristi stelle,
nell'indignazione della luna.
Quattro barboni stanno davanti ad un bidone infuocato come
se chiedessero generosità all'inferno.
Un ebreo s'attarda a chiudere la sua bottega.
Due mascalzoni armati di coltelli inseguono una fanciulla
sperduta. Il gatto nero, sul davanzale di una finestra, l'avvisa del pericolo
con un miagolio isterico, ma lei non lo sente. Le sue urla si confondono con
quelle della sirena di una macchina della polizia che sfreccia sulla Grand
Avenue.
Il sindaco si affaccia alla finestra del suo lussuoso
ufficio e osserva la sua città: si compiace dei palazzi claustrofobici
costruiti senza problemi giudiziari, dei parcheggi costruiti sopra ai parco giochi
pensando che i bambini avrebbero confuso i due nomi, dei centri commerciali
costruiti al posto di scuole. Dalla porta del suo ufficio vengono tre battiti
delicati. Finalmente la sua donatrice di piacere è arrivata. Apre la porta e si
ritrova una pistola con silenziatore puntata al pomo d'Adamo. La donna,
in minigonna e camicetta trasparente, preme la pistola contro il collo del
politico costringendolo a indietreggiare. L'esile dito schiaccia il grilletto e
uno spruzzo di sangue, come da uno sfiatatoio, macchia l'arrogante ritratto
appeso al muro retrostante. Scappa la ragazza tra le risate della luna.
Corre la volante sulla Grand Avenue urlando luci rosse e
blu. Insegue un'auto nera, carica di carne e piombo, che sputa pallottole e
polvere bianca. Folli cocainomani alla guida, povere creature dalla triste
sorte, non sanno di essere già cadaveri. Fuggono, tra il traffico di vite
squallide, in una scia nera che non si può fermare, che niente può fermare,
niente tranne un camion che sta attraversando un incrocio. L’impatto è così
violento da far alzare in volo una nube di piccioni appestati. Latta e sangue
sull'asfalto. Arriva la macchina della polizia a colorare la morte. Ora rosso,
ora blu è il volto spappolato dei cinque corpi senza vita.
Un ratto scappa in una fogna con qualcosa in bocca. Un
riflesso rivela l’unghia di un dito.
Da un pub proviene un blues malinconico e le grida di una
rissa. La sensuale voce di una cantante si riversa sulla strada insieme ai
frantumi di una finestra.
L’ebreo cammina per il marciapiede stringendosi il cappotto
al petto. Un lezzo di sfortuna precede quattro figure tristi, quattro
straccioni che cercano cartacce per alimentare il loro fuoco. L’ebreo fa finta
di non vederli, gira lo sguardo e passa oltre indifferente. Uno dei quattro lo
raggiunge e lo tira per una manica chiedendogli qualche spicciolo. L’ebreo si
divincola e procede il suo cammino verso casa, ma dopo qualche passo è
attorniato da tutti e quattro i barboni che gli chiedono elemosina. Si
stringono attorno a lui e lo supplicano con strani e diversi accenti. Il loro
alito è acre, i loro vestiti sono impregnati dell’odore della città, i loro
occhi racchiudono la notte. L’ebreo terrorizzato estrae una pistola, vecchia e
arrugginita, e inizia a sparare in preda all’agitazione. Ne ferisce due e
scappa urlando qualcosa in yiddish.
Il muso del ratto annusa il fetore urbano in cerca di
pericoli, poi l'animaletto sbuca sul marciapiede. Non fa in tempo a correre nel
cassonetto che il gatto nero, con un balzo, lo ha già afferrato e ne
sgranocchia il cranio, tra i denti gialli e la lingua ruvida, facendo le fusa.
La porta secondaria del pub si apre, illuminando il vicolo
oscuro. Escono tre uomini che trascinano dei vestiti con dentro una persona. Si
tratta di un ragazzo sui vent'anni. I tre lo gettano a terra e iniziano a
picchiarlo con pugni, calci, mazze e catene. L'indifeso cerca di rialzarsi, ma
più ci prova più viene schiacciato al suolo.
I lampioni, invidiosi della luce del sole che nasce ad est,
si spengono uno dopo l’altro.
La luna ha fatto grasse risate stanotte e ora lascia il
posto al sole, la cui arte è di rinchiudere la notte nelle ombre degli uomini.
Ancora un vecchio racconto che mi è tornato in mente da una delle due poesie di Raffaele di Palma.
RispondiEliminaIn questa meraviglisa musica di parole c'e' una sola nota stonata...
RispondiElimina(lo sottolineo solo eperche' a me facevano una testa tanta su questa questione e non vedevo l' ora anche io di farla a te :). )
'il sindaco si affaccia alla finestra del suo lussuoso ufficio e Osserva la sua lussuosa citta' '
Puoi cambiare agettivo per non ripeterlo, no?
Per il resto e' perfetto!
E' recente vero?
Sei migliorato un sacco Davor!!!!!
Ps era questo il racconto per cui avevi bisogno di un consiglio?
RispondiEliminaNo no, è vecchio questo racconto :)
RispondiEliminaRiguardo alla ripetzione dell'aggettivo volevo mettere in relazione l'ufficio con la città, entrambe cose che il sindaco considera di sua proprietà. Però forse hai ragione, suona male.
Ci penso.
Se trovi un modo per renderlo eficacemente tanto di guadagnato ;)
RispondiEliminaOk, ho tolto il secondo aggettivo che mal si associa a una città e comunque suonava male. Grazie Rob!
RispondiEliminaOra mi accingo a postare una poesia :)
Trovo che cosi vada molto molto meglio, anche perchè, nei righi successivi si capisce chiaramente che il sindaco considerà la città di sua proprietà quando il suo ufficio...
RispondiEliminaIn alternativa (scusa se te lo dico ora, ma proprio in questo momento mi è venuto in mente) potresti mettere in corsivo il possessivo.
Comunque è perfetto così per quanto mi riguarda :)
Sottolineando che mi piace così com'è, io avrei sostituito "città" con "creatura". I dettagli dopo i due punti ne chiarirebbero il perchè (lo sapete che se non confondo le acque io non sono contento) :-) .
RispondiEliminaAvrei sostituito anche "povere creature" con "anime perse" o qualcosa di simile.
Un racconto d'effetto, molto originale e ricco d'immagini. Sei molto abile nel rendere "visibile" la scrittura.
Ecco...rendere visibile la scrittura, avrei voluto dirlo anche io, ma non sapevo come...
Elimina:))
una cosa da invidiare per chi come me maschera questa pecca con i dialoghi a muzzo (a muzzo = tanti)
Sono stili diversi, Rob. Il tuo pone l'accento sui sentimenti, quasi impossibili da rendere visibili. L'importante è che li sai trasmettere e con il "muzzo" di parole giuste (non sono affatto troppe).
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